Deep Thinking. Garry Kasparov

 

Il 10 febbraio 1996 il campione del mondo Garry Kasparov iniziò un match contro Deep Blue, un computer della IBM creato esclusivamente per giocare a scacchi. La partita inaugurale si concluse con una vittoria della macchina: per la prima volta un campione del mondo veniva sconfitto in una sfida con tempi regolari da torneo.

Quella sera Kasparov si rivolse sconsolato all’amico Frederic Friedel: “E se questo affare fosse invincibile?” Non lo era: nel resto del match il grande scacchista russo riuscì a prevalere. Ma l’anno successivo, IBM chiese e ottenne una rivincita con una versione potenziata di Deep Blue (chiamata, con scarsa fantasia, Deeper Blue). E Kasparov perse. Inevitabilmente, sorsero delle polemiche riguardo l’eventualità che IBM stesse barando. La società informatica, peraltro, rifiutò qualsiasi proposta di “bella” con lo scacchista russo, e ritirò Deeper Blue facendolo entrare direttamente nel mito.

E questo è il punto. All’epoca si parlò di una sconfitta dell’umanità contro l’inesorabile avanzata delle macchine, proprio come per la sfida precedente i titoli dei giornali erano del genere The Brain’s Last Stand, Kasparov Defends Humanity, The Machines Are Entering the Last Human Refuge, Intelligence. Anche il campione partecipò a questa narrativa, definendosi un campione colpevole di aver deluso l’intera razza umana.

 

Garry Kasparov speaker. BCC Conferencianes

 

 

Nel suo nuovo libro, Deep Thinking, Kasparov cerca innanzitutto di ribaltare tale impostazione. Non solo quando rievoca i suoi match: più in generale – ed è il tema del saggio – insiste per un approccio lucido e meno enfatico al rapporto fra uomo e macchina. Ci sono due versioni della mitologia che circonda l’intelligenza artificiale. La meno diffusa è un ottimismo vacuo; la più nota è quella alla HAL 9000, che in 2001: Odissea nello spazio sconfigge a scacchi Frank Poole e poi lo uccide. (Vedi anche i timori espressi non molto tempo fa da Elon Musk).

Intervistato da Business Insider, Kasparov ha specificato che entrambe queste versioni sono intollerabili: uno degli scopi del saggio è proprio quello di “osservare il problema oggettivamente, senza le aspettative utopistiche e senza i timori distopici”. Una premessa abbastanza minoritaria, in tempi di slogan e reazioni di pancia; ma anche per questo molto rinfrescante. Del resto, era difficile aspettarsi altrimenti conoscendo l’autore.